French Connection arriva in Italia: intervista a Jean Dujardin

Una storia a tratti realmente accaduta, con attori che somigliano esteticamente ai veri protagonisti della vicenda. Il racconto, ambientato a Marsiglia negli anni Settanta, parla di di Pierre Michel, un giovane magistrato che indaga sul crimine organizzato. Tra padrini e gente pericolosa con incredibili intrighi persino in Italia, la sua esistenza diventerà un incubo. Da noi questa vicenda non è molto nota, eppure pare che possa avere avuto contatti persino con il nostro indimenticato magistrato Giovanni Falcone. In primo piano l’attore Jean Dujardin, che abbiamo visto nell’impeccabile interpretazione di The Artist e non solo. Nella sua intervista, spiega quali emozioni ha provato lavorando ad una pellicola sicuramente impegnativa e dalle grandi aspettative. Il film uscirà il prossimo 26 marzo.

 

Quale è stata la sua reazione quando ha letto la sceneggiatura?

Mi è piaciuta moltissimo. Sono rimasto colpito dalla precisione della scrittura e sono rimasto profondamente affascinato dalla figura del giudice Pierre Michel. Che personaggio meraviglioso! La prima volta che ho incontrato Cédric Jimenez ho capito subito che era letteralmente ossessionato dalla storia e che la conosceva alla perfezione. Ma la cosa più importante per me è aver capito che avrebbe concesso una grandissima libertà agli attori sul set.

Come si è calato nel personaggio? 

Ho iniziato la preparazione raccogliendo più informazioni possibili su di lui. Ho letto diversi libri nei quali ho trovato molte indicazioni sul personaggio. Dai libri si capisce che Pierre Michel era un uomo “giusto”, un vero “crociato”, ma al tempo stesso era un uomo complesso con parecchi difetti, e per questo non vedrete la classica divisione manichea con il mafioso cattivo da una parte e il giudice buono dall’altra. Ho attinto a tutte le fonti possibili e immaginabili e, poi, ho cercato di dimenticare tutto quello che avevo letto perché alla fine è toccato a me interpretarlo. Il giudice ha la mia voce, il mio fisico, la mia andatura e, trattandosi di un film, mi sono dovuto reinventare la persona. Inoltre, quello che volevo portare sullo schermo non era tanto il magistrato quanto l’uomo, il marito e l’amico.

Quali sono state le scene più difficili?

Durante le riprese tutto è difficile. Entrano in gioco la stanchezza,  l’umore del personaggio, per non parlare del perfezionismo del regista che cerca sempre di avere di più da te, tutto questo ha necessariamente delle conseguenze sul film. Per esempio, la scena della cabina telefonica quando  la maschera del magistrato comincia a sgretolarsi, perché capisce che ha a che fare con qualcosa di molto più grande di lui e di essersi messo contro un sistema che alla fine lo schiaccerà, abbiamo dovuto ripeterla otto volte e io ho dato l’anima per farla bene. È stato doloroso, ma è un dolore che fa bene. E poi ci sono state anche delle sorprese. Per esempio, ad un certo punto mi sono detto: “Che cosa buffa, sto interpretando mio padre”. Mio padre era dirigente di un’azienda che operava nel settore metallurgico e ricordo di averlo sentito alzare spesso la voce in cantiere per difendere i suoi uomini. Ero un bambino e quasi mi vergognavo di lui ma lui lo faceva per difendere l’azienda e i suoi operai. E, all’improvviso, non ho più dovuto recitare o fingere per avere l’autorevolezza di Michel, perché ho scoperto di averla dentro di me. Grazie papà!

Il ruolo di Pierre Michel è un ruolo pesante, difficile, importante perché è la prima volta che interpreta un personaggio realmente esistito. È entrato in una nuova fase della sua carriera?

Ogni film segna una nuova tappa. Ogni volta che finisco un film posso sentirmi più debole o più forte ma ne esco certamente arricchito in termini di esperienza. Penso che in questo caso avessi l’età giusta per il ruolo e anche un po’ di esperienza e di sicurezza in più.  Se me lo avessero offerto cinque anni fa forse lo avrei rifiutato, o almeno avrei avuto parecchi dubbi ad accettarlo.  Più cresco come attore, più mi lascio andare e sento che non devo più “recitare”. Ma per arrivare a questo punto ci vuole tanta sicurezza e se sei deluso da come hai interpretato una scena devi riuscire a mettere da parte il tuo ego e dire a te stesso: “Non ti preoccupare, le cose andranno meglio tra qualche anno”. Quando vedi attori come Jean-Pierre Marielle a teatro, con la sua sicurezza e la sua professionalità, capisci di avere solo 40 anni e che puoi sempre fare di meglio. È così che si continua a crescere ed a progredire. Per questo film ho accettato di mettere a nudo le mie zone d’ombra, di mostrarmi più per quello che sono; con il tempo s’impara a perdere questa forma di controllo e mi piacerebbe un giorno finire una ripresa senza neanche sentire: “Stop!”

 Scopri si più sul film nel sito dedicato: http://frenchconnection.in.leonardo.it/20

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