“L’ultima missione”: un’esplosione devastante

E’ uscito il 18 Aprile “L’ultima missione”, il film di Olivier Marchal.

“Oltre a raccontare l’intrigo poliziesco, volevo realizzare un film sulla redenzione e sull’oblio come condizioni della nostra esistenza”.
Marchal punta in alto e per il suo L’ultima missione” brucia ogni attesa.
Uscendo allo scoperto. E ricollegandosi a “Gangsters” e a “36”. Il suo terzo film da regista profuma di chiusura. Quella della trilogia, è chiaro, ma anche di un affresco umanista che qui raggiunge il suo zenith fumante.
Melville rimane in sovrimpressione. In mezzo c’è dell’altro. Sbarramenti saltati in aria, disillusioni senza freno, esistenze bruciate a fuoco lento. E attraversate da ferite che non cicatrizzano.

“L’ultima missione” segna una fusione. Quella fra una pistola e un uomo. Qualcosa di vagamente ‘cronemberghiano’ con spruzzate abbondanti di tutta una certa tradizione poliziesca.
Gli abitanti del cinema di Michael Mann sono il lavoro che fanno (pensate a “Miami Vice”), quelli del cinema di Marchal sono l’ossessione da cui sono tormentati.
Auteuil/Depardieu in “36”, Richard Anconina in “Gangsters”, ancora Auteuil in quest’ultimo film.

Jean-Baptiste Drouet (importante critico della rivista “Premiere) ha parlato de “L’ultima missione” come del film “più personale e compiuto” del regista francese. Ma anche quello più disperato, aggiungiamo noi. Quello dove la notte è più oscura. Quello in cui la strada, la pistola, il ricordo, la vendetta assumono le terribili forme di un incubo da cui è quasi impossibile uscire.
Cos’è che rende il film un poliziesco del tutto anomalo rispetto a quelli in circolazione oggi? Una cosa molto, molto semplice.
Marchal non si limita a raccontare una storia. O meglio, ad inventarla. Gli basta tornare con la memoria agli anni di servizio nella Brigata criminale. Alle notti passate sulla strada, a bordo di una pattuglia, dentro appostamenti troppo lunghi e snervanti da raccontare. Dentro storie troppo dure da ricordare, ma soprattutto da mandare giù.

“Gangsters” era un preludio, “36” un crescendo intensissimo,”L’ultima missione” un’esplosione devastante. Realismo metropolitano disegnato con furia agghiacciante.
Ma anche termometro appassionato di un umanesimo da pelle d’oca. Marchal ama i suoi ‘looser’ e non potrebbe essere altrimenti. Si perde nei loro sguardi persi nel vuoto, incoraggia i loro silenzi capaci di assordarti, si incanta davanti agli occhiali scuri di un Auteuil che non è soltanto il suo interprete feticcio, ma un suo perfetto doppio.
Nella ‘notte sulla città’ schizzata dal regista francese, non esistono più idee e valori, ma atti, gesti, movimenti. E gli uomini sono rimasti soli.
Se nel primo film di Marchal si celebrava la figura archetipica del gangster e nel secondo si partiva dalla mitica ‘quai des orfèvres’ parigina, qui non resta che assistere al trionfo della pistola del titolo originale (Mr. 73).
L’unica ‘cosa’ ancora in grado di instaurare rapporti, risolvere situazioni e cancellare nomi.
Marchal riannoda i fili del passato e cerca di mantenere il polso fermo. Non è facile.
Perché ne ha viste di tutti i colori.
Ed è a servizio della comunità parigina che ha capito una cosa: i cattivi non stanno da una parte sola.
E la cavalleria non arriverà mai.

Appuntamento dunque in sala dove “L’ultima missione” vi attende a partire da venerdì 18 aprile.
Distribuisce Medusa

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