Alla ricerca di Helen

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Quando ci si scopre disciolti nella propria unicità e non si riesce a trovare il capo della propria esistenza, un appiglio alla propria realtà, che possiamo riconoscere nella famiglia, nei geni, nell’ereditarietà, ci manca tutto: la coscienza, l’amore, l’attenzione e le passioni.

Civic life è il percorso che i due registi irlandesi, Christine Molloy e Joe Lawlor, hanno iniziato con nove cortometraggi per raccontare altrettanti comunità locali e il loro radicamento culturale e sociale che ha come sfondo l’Irlanda odierna. Questo lungo affresco ha trovato il suo epilogo nel lungometraggio Helen presentato in concorso alla 26esima edizione del Torino Film Festival. La storia racconta della scomparsa della diciottenne Joy, durante il ritorno da scuola, e le relative indagini della polizia locale. Con una tecnica di ricostruzione, la più realistica possibile, si cerca di seguire gli ultimi spostamenti della ragazzina, le persone che ha incontrato nelle ultime ore prima della scomparsa, grazie anche all’aiuto di alcuni compagni di scuola che interpretano i protagonisti di questa scura vicenda. Helen viene scelta come sosia di Joy grazie alla sua straordinaria somiglianza, negli atteggiamenti e nella fisionomia.
A differenza di Joy, Helen vive una vita solitaria e chiusa nella sua esperienza di ragazzina orfana cresciuta in un istituto. Questa sua condizione l’ha resa schiva e diffidente, incapace di comunicare ed esprimere le proprie passioni e i propri sentimenti. Constatare di persona, venendo a contatto con la realtà di Joy, che si può appartenere ad una famiglia amorevole ed attenta, presente in ogni momento della propria vita, che si possono costruire rapporti duraturi e solidi, stravolge e coinvolge emotivamente la protagonista al punto di volersi sostituire in questa nuova vita per colmare il suo profondo senso di solitudine e contemporaneamente il vuoto che Joy ha lasciato nella sua casa e nella quotidianità dei suoi genitori. Questo viaggio nella vita della sua coetanea Joy le farà scoprire l’amore, l’amicizia, una nuova casa e la forza di affrontare il suo passato e le mille domande che durante la sua vita in istituto non hanno mai trovato una risposta.

L’aria è rarefatta e tutto fermo ed inquieto. La ricostruzione segue il filo dell’inconscio e della emotività che allontana il film dal cliché del film poliziesco e lo avvicina ai film intimisti. La stessa colonna sonora sottolinea con silenzi e note fredde e circostanziate un paesaggio irlandese verde e magico. Lo si era già visto questo paesaggio, non verde ma magico, nel film australiano di Peter Weir, Picnic ad Anging Rock del 1975, e non solo. L’inquietudine e la mancanza di punti di riferimento sicuri segna una concreta similitudine tra i due film e non solo perché in entrambi si parla di scomparse misteriose senza soluzione certa, ma perché la costruzione dei personaggi e l’interazione tra loro stessi e tra loro e lo spazio esterno danno forma ad una sorta di realtà sospesa e la presa di coscienza dell’esistenza di realtà parallele a noi straniere e a volte pericolose. La nuova famiglia trasformata dalla presenza di Helen nasce da un avvenimento luttuoso e crudele e prende la forma di una rinascita, nella speranza che questo vuoto e questa immobilità abbiano una soluzione. Nel film di Weir, al contrario, i protagonisti vengono profondamente trasformati e vagano nei luoghi della tragedia senza riuscire a ritrovare un equilibrio emotivo.

Ottima la performance della giovanissima attrice che interpreta Helen/Joy, Annie Townsend, che racchiude nel suo sguardo lontano e cristallizzato tutto l’universo desolato e senza illusioni che fa da spazio narrativo all’intera vicenda. Il piano sequenza inziale che insegue lentamente i movimenti del giubbotto giallo della protagonista, in assenza di pathos, anche sonoro, ci indica la strada da percorrere per tutto il film, presagio e soluzione nel contempo.
C’è un momento in cui tutto ha inizio e fine, qui la fine è assente, al suo posto un continuum trasformato e lungamente atteso.

Articolo a cura di Luca Lupo

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